breve storia di Catanzaro fuori porta | memorie historiche |
La Catanzaro vista dagli altri | Catanzaro, nido di aquile e regina dei panorami |
l'oratorio del S.S. Rosario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BREVE STORIA DI CATANZARO “FUORI PORTA”

Il recente recupero strutturale ed architettonico dell’Istituto Tecnico Industriale “E.Scalfaro” di Catanzaro ci ha suggerito la rivisitazione di un periodo particolarmente importante per lo sviluppo urbanistico del capoluogo a cavallo tra il finire dell’800 ed i primi decenni del ‘900.

Un periodo e tanti interventi che hanno dato una svolta al futuro di una città prima ristretta tra Porta di Mare e Porta di Terra e poi proiettata al di là delle vecchie mura,per giungere “fuori porta”,creando così nuove prospettive economiche e sociali.

E’ con la delibera assunta il 18 marzo del 1871 del Consiglio Comunale che venne dato il via  alle operazioni finalizzate  ad un completo riassetto del tessuto cittadino.

Infatti,in esecuzione dei programmati lavori di livellamento dei Corso Vittorio Emanuele,si cominciò a procedere al rilassamento del piano stradale nel tratto compreso tra il Regio Liceo Galluppi e la Chiesa di San Giovanni; da un minimo di 25 cm. Dallo spigolo di quello che era stato l’antico convento del Padri Gesuiti ad un massimo di  1,70 metri proprio dinanzi all’originario portale della Chiesa di San Giovanni tanto da rendere necessaria,per l’accesso alla chiesa stessa,la realizzazione dell’attuale scalinata nel 1877.

Veniva  così eliminato, sia pure in parte,il notevole dislivello esistente all’altezza  di Palazzo Susanna e tali opera di raccordavano, poi, con l’ulteriore abbassamento di Piazza San Giovanni, oltre la Porta di Terra.

Ed ancora la nascita di Rione Milano, su quelli che furono gli orti della famiglia Caizzi.

Sono tutti momenti della vita urbanistica di Catanzaro, preludio alla nascita dei nuovi quartieri al nord, che costituiranno oggetto di una nuova, approfondita ricerca.

Gianni Bruni

 

Memorie Historiche

Quando, nel 1670, Vincenzo D'Amato dava alle stampe le "Memorie historiche della illustrissima, famosissima e fedelissima città di Catanzaro" e, quasi scusandosi con i lettori,si affrettava a precisare che "nelle tenebre dell'antichità non tutti han la fortuna di avere la lanterna di Diogene", non avrebbe mai immaginato che le sue teorie sulla nascita di Catanzaro sarebbero state contestate duecentocinquanta anni dopo, assieme a quelle di tanti altri che, più o meno fantasticamente, hanno tentato di individuare le esatte origini della nostra città.

Era, infatti, il 1907 quando Carlo de' Nobili, padre di quel Filippo de' Nobili che rappresentò a lungo la cultura e la memoria storica della Città, ebbe a svolgere, presso l'Università popolare di Catanzaro, una conferenza da cui trasse poi un raro volumetto intitolato, proprio, "Sulle origini di Catanzaro".

Una conferenza dissacrante, quella di Carlo de' Nobili, dedicata, in gran parte a smontare le più disparate tesi, fino ad allora seguite, per giustificare data e circostanze della nascita di Catanzaro.

Ed infatti la prima contestazione è rivolta a Giovan Francesco Paparo, il quale, chiamando a testimone Polibio che avrebbe parlato di "Cathacum antiquissimum oppidum", scrive, nelle sue "Consuetudini di Catanzaro" che la città sarebbe stata fondata nell'anno 3300 dalla Creazione del mondo (Catanzaro più antica di Atene? ma scherziamo ) dagli Arcadi che, avendo visto dal mare un gran fuoco su un monte lontano, vi si recarono edificando un tempio a Giove e fondando la città. Purtroppo mai Polibio ebbe ad affermare tanto, né di Catanzaro si hanno notizie nei testi dello Stefano, dello Strabone e del Barkelio che pure approfondirono gli studi sulle città preelleniche.

Nè il dè Nobili risparmia altri storici: l'Ughellio, nella sua "Calabria sacra", affermando che Catanzaro fosse antica colonia greca "hanc antiquam coloniam fuisse" si limita quindi ai "si dice", mentre Orazio Lupis, sempre per comprovare le origini greche della città, ricorda il rinvenimento nel marzo del 1784, durante gli scavi nel palazzo di Cesare De Nobili, della famosa tavola in marmo dei giochi "lampadari", abituali nei festeggiamenti a Minerva e Vulcano. Peccato che successivamente, con la traduzione dell'archeologo Michele Verga Macciucas, sia stato accertato che il gioco ricordato nella lapide scoperta a Catanzaro sia avvenuto nella greca (quella sì) Skilletion.

Altra contestazione viene rivolta al Barrio il quale nel suo "De antiquitate et situ Calabriae" pubblicato del 1571 parla genericamente della fondazione di Catanzaro ad opera di Niceforo (quale Niceforo, ce ne furono tre) anche se successivamente l'Aceti, riprendendo proprio il Barrio, precisa che si trattava di Niceforo Foca (963-969).

Anche di Niceforo parla il D'Amato, fissando la data della fondazione di Catanzaro nell'804 sotto Niceforo Lagoteta (802-805), mentre altri addirittura parlano di Niceforo Botoniate che regnò dal 1077 al 1081.

Poiché esisteva sempre il malvezzo "nelle tenebre dell'antichità" di riprendere e ripetere date e concetti in precedenza espressi, senza approfondire criticamente e storicamente i fatti, Carlo de' Nobili ebbe buon gioco ad infierire sulle tesi sostenute anche dal Gariani, dall'Ughellio e dal Solino, ricordando invece come, fatti e dati certi, possono solo evincersi dalla "Cronaca Araba" dell'Arnulfo e dal"Codice Arabo Siculo" dell'Airaldi.

Del resto,aggiungiamo noi, è noto che la più antica raffigurazione della città di Catanzaro appare su un atlante arabo dell' XI secolo, con la denominazione Qatansar.

Ed allora il de' Nobili affonda la sua critica e si rifà a quel periodo storico che interessò, nel IX secolo dopo Cristo, il meridione d'Italia ed in particolare la Sicilia e la Calabria

Catanzaro non fu colonia greca, non fu fondata da imperatori e condottieri, ma fu il rifugio disperato,la meta verso la salvezza, di quelle popolazioni rivierasche, prima situate alla foce del Corace, alla foce dell'Alli, alle marine di Rocella e di Trischene (la mitica città tra l'Alessi ed il Crocchio) che tentarono, vanamente come vedremo, di sottrarsi alle scorrerie saracene.

Ma ecco, secondo il de' Nobili, cosa accadde in quegli anni lontani.

Nell'827 era governatore della Sicilia, su incarico di Michele Balbo imperatore d'Oriente, Eufemio da Messina il quale, per vari reati commessi non ultimo il rapimento e lo stupro di una monaca, venne minacciato di rimozione e di “grande castigo”.

Eufemio da Messina, pur di non cedere all'ordine del proprio imperatore, ricorse all’inizio all’emiro Ziadat Allah ben Ibraim, promettendogli grandi ricchezze ed invitandolo ad invadere la Sicilia.

Un invito forse superfluo per re ed emiri saraceni che già nell'808 avevano invaso la Sardegna, nell'810 saccheggiato Nizza e nell'813 Reggio Calabria.

Contemporaneamente le coste e le città calabresi erano oggetto di ripetuti assalti, anche se raramente di occupazione stabile per la resistenza opposta.

Ma nell'832 con la caduta di Palermo dinanzi alle orde dell'emiro Abael Camo la situazione precipita.

E da quel periodo inizia la migrazione verso le zone interne della regione, alla ricerca di posti più sicuri come poteva apparire il monte Triavonà. E' quindi una nascita spontanea quella di Catanzaro, certamente opera di popolazioni di origine greco-bizantina, che, pur di diversa provenienza,trovano in questo rifugio la loro nuova città.

Ma quale data dare alla fondazione di Catanzaro?

Il de' Nobili argomenta che la data debba porsi nel periodo compreso tra 1'860 e l’868 ed esprime la seguente congettura.

Nel 903 viene fatto per la prima volta riferimento a Catanzaro nel "Codice Arabo Siculo" dell'Airaldi in cui si legge che, in quello stesso anno, l'Emiro Aba el Aabass combattè una battaglia sotto le porte della città di Catanzaro, espugnandola e divenendone il signore assieme ad una guarnigione di ben 10.000 uomini.

Una città in grado di resistere ad un lungo assedio e poi di ospitare, oltre ai propri abitanti, un elevato numero (migliaia) di occupanti, doveva avere già qualche decennio di vita; e del resto, ricordando il periodo delle prime invasioni saracene e la diaspora degli abitanti delle coste, è verosimile individuare nella seconda metà del IX secolo la nascita (più che la fondazione) della città.

Ma, quel che maggiormente interessa, non è il ricorrente assalto dei saraceni che, anche nel 906 come ricorda Arnulfo nella sua "Cronaca Araba", fecero ricco bottino di oro, argento e schiavi, quanto la lunga permanenza, in Catanzaro, di un vero e proprio emirato arabo durato decenni.

Ed a tal proposito Francesco Antonio Grimandi nei suoi "Annali del Regno di Napoli" ricorda che nel 922, essendo stato ucciso l'emiro Olbek a seguito di una congiura di soldati, venne eletto tale Michele che si fece chiamare "Michael rex sclavorum" e la cerimonia di investitura si celebrò proprio in Catanzaro col rito e secondo le tradizioni arabe.

Ed ancora nel 934 i cittadini di Simeri e di Belcastro si ribellarono ai saraceni, ma alla rivolta non partecipò Catanzaro che era presidiata da una fortissima guarnigione araba, a conferma del permanente dominio saraceno.

Durò dunque a lungo il dominio arabo nella nostra città e bisogna ora chiedersi cosa resta, a Catanzaro, di quei terribili anni.

Indubbiamente, e qui finisce il racconto di Carlo de' Nobili, l'arrivo dei normanni apre un'altra pagine di storia.

Ma poco o nulla si eredita, al contrario di numerose città della Sicilia,dalla dominazione araba.

Non il nome (tranne il richiamato arabo Qatansar) più verosimilmente di formazione greca. Il Barrio divide la parola Catanzaro in tre nomi greci: Catà (sopra), zao (vivo) ed oros (monte); l'Aceti contrae in Catizzo (sedere) ed oros (monte), mentre il Settembrini, poeticamente, fa derivare Catanzaro da Catantharos, "sul fiorito".

Scrisse poi Domenico Marincola Pistoia (Notizia storiche intorno a Catanzaro ed alla Calabria) di aver individuato nel 1846 una necropoli nella "strada di S.Chiara'e che, in uno dei sepolcri, furono trovati un anello ed alcune monete con iscrizioni arabe.

Quasi nulle anche le testimonianze architettoniche (il tempo ed i terremoti hanno cancellato tutto) anche se Francesco Gabrielli ("La Calabria nei geografi arabi") parla di quartieri originari arabi con tessuti compatti e labirintici, vicoli e strade coperte, percorsi a baionetta riconoscibili a Catanzaro ma anche a Cosenza.

Certo è, invece, il positivo influsso che ebbe la dominazione araba per la nascita e la crescita di quell'arte della seta che rese famosa Catanzaro in tutta Europa e ricchi i suoi cittadini, tanto da far ricordare che nel XVI secolo, nella nostra città, anche i contadini ed i poveri vestivano di velluto e di seta.

Ma questa è tutta un'altra storia da raccontare.

Gianni Bruni

 

 

 

 

 

La Catanzaro vista dagli altri

a cura di Achille Curcio

 

Catanzaro 20 settembre 1808

(…) Conduciamo una vita molto beata a Catanzaro, che è una delle più graziose città  della Calabria e indubbiamente la più gradevole per risiedervi. La sua posizione, su una montagna a due miglia dal mare, è salubre e graziosa. I suoi abitanti sono affabili, laboriosi e sono i soli in tutta la regione che usino cortesie verso i francesi. Le donne di Catanzaro sono giustamente celebrate come le più belle e le più simpatiche delle due provincie. Si danno anche numerosi ricevimenti dove si suona o si fanno giuochi innocenti che permettono di abbracciare le donne, cosa che in ogni altro luogo della regione farebbe gridare allo scandalo. Ma queste buone maniere restano chiuse all'interno di poche mura. Fuori il brigantaggio solleva la sua testa odiosa e l'ignoranza e le barbarie sono, come in tutto il paese, le doti naturali del popolo.

Duret de Tavel

(da Lettere dalla Calabria)

Traduzione di Carlo Carlino

 

 

 

 

Catanzaro, 28 maggio 1848

(…) Scendemmo, e subito fummo in vista di Catanzaro , che sorge in posizione quasi inespugnabile, su di una roccia che domina un vertiginoso burrone attraversato da un torrente spumeggiante. Vi è qualcosa nelle posizione delle città ed anche dei villaggi in questa parte dell'Italia che colpisce in maniera particolare: stanno appollaiati come nidi di aquila su alte e quasi inaccessibili rupi, lasciando pianure e valli senza case e senza abitanti, nonostante i vantaggi che offrirebbero come luoghi residenziali…

Arthur John Strutt

( da Pedestrian Tour in Calabria and Sicily)

 

 

In  Calabria

 (…) Pel Comune di Catanzaro troviamo:

"La popolazione povera della città e del contado abita in pian terreni privi di luce e ventilazione. In un solo ambiente vivono molti individui: grandi e piccoli uomini e donne insieme coll'asino e le galline. In taluni tuguri si agglomerano  fino a venti mendicanti e nel mezzo dell'abituro vi è la latrina aperta e puzzolente.

"Le latrine sogliono mancare in molte abitazioni a pianterreno e i rifiuti si trasportano sotto le mura delle città. Non vi sono lavatoi pubblici. Domina la sifilide, ma non vi sono dispensari. Vi sono 9 case di tolleranza".

La carne è scarsa specie nei piccoli paesi, il proletario la mangia solo nelle grandi feste.  Nelle marine il colono vive di verdure e patate mal condite, con cipolla, pomidoro e peperoni; quelli un poco più ricchi , di legumi e di un poco di formaggio caprino e, dove se ne smercia, di tonno e pesce spada.

Gli alimenti sono appropriati al clima: tali sono la cipolla, la lattuga, il pesce e fino il caffè. Poco le carni di capra e di bue. Moltissimo vi è ricercato il pesce spada e il tonno.

Il pane dei ricchi è buono, non quello del povero. Assai poco in onore vi è il riso , che pur tanto bene porterebbe allignarvi nelle paludi. Invece enorme è il consumo che vi si fa dei fichi d'india (cactus), dei poponi e dei peperoni.

Del resto il piatto più comune, così alla mensa del ricco come a quella del povero, è il proverbiale maccherone col sugo.

I vini, molto alcolici e mal fermentati, producono ai non avvezzi, fierissime gasttralgie, e congiurano, con la luce solare, all'eziologia delle meningiti negli stranieri che debbono affaticare troppo all'aria aperta.

Bello e generale è l'uso della neve e delle granite che ti riesce trovare con tuo grande conforto, fino nei più meschini paeselli di montagna

Cesare Lombroso

( da in Calabria 1862-1897)

 

 

Origine della città di Catanzaro

 La nobilissima città di Catanzaro, capo e maestra della provincia Calabria ulteriore seconda, siede vagamente sopra un piano formato da tre colline, le quali per una sola parte legandosi ad altre, fanno che la città sia come una penisola circondata giù da valli e da due torrentelli. Fra levante ed ostro guarda il golfo di Squillace lontano sei miglia; e dal golfo di S. Eufemia, che le sta a ponente a circa 18 miglia in linea retta, la battono continui e furiosi venti, che ne rendono l'aere puro e salubre si, ma vario e pericoloso. Onde altri potrebbe chiamarla, come Virgilio chiama l'isola Eolia : nimborum patria, loca forta  furentibus austris.

E questa mutabilità di cielo è potente anche su le diciotto migliaia di abitanti: svelti, vivaci, amabili, ingegnosi, di bella fantasia, ma leggeri, incostanti, e direi quasi di indole non calabrese.

Questa città si vuole di origine greca. E veramente la fa credere tale il suo dialetto misto di moltissime parole greche(cosa per altro comune a tutti i dialetti calabresi), e in qualche modo diverso dagli altri delle vicine città: e più ancora una lapide su cui leggesi scritta in greco la memoria di alcuni giuochi lampadarii celebrati, rinvenuta nello scavarsi le fondamenta del palazzo del Barone Nobile, e dal prof. D. Orazio Lupis, interpretata e mandata nel  Museo di Napoli dove ora si vede. Ma chi ne sia stato il fondatore , in qualche epoca, nella storia non è menzione. Sappiamo solamente che nell'ottavo secolo Flagizio, nobile Bizantino, fastidito della corte, o cacciatone, messosi in mare con alcuni seguaci, cercò la sempre desiderata Italia, e venuto nel golfo di Squillace, preso dalla bellezza del luogo, vi fermò la stanza e chiamò la città Catanzaro.

Ma se non fosse stato agli il fondatore, o avesse in questo nome cangiato quello di una città o villa già esistente, è tuttavia oscuro.

 (Autografo di Luigi Settembrini scritto nell'ergastolo di S. Stefano)

 

 Un giorno io viaggiavo in Calabria

 (…)qui sono venuto nel 1915 e qui ho trovato degli italiani che me lo hanno ricordato con quel copioso lirismo col quale sanno sempre condire i loro complimenti.

 Catanzaro è chiamata la città dei venti e, effettivamente, i venti soffiano furiosi da ogni lato.

 Catanzaro è appollaiata su di un colle che chiude una vallata alla più affascinante profusione di fiori e piante nel Mezzogiorno; era un tempo indicata come una cittadella fortificata.

 Essa non si costituì pertanto che verso il X secolo e fu vittima dei movimenti tellurici.

 Solamente in questo secolo, i terremoti l'hanno devastata per ben tre volte (1905, 1907, 1908).

 Vi era un imponente castello, ma l'ampliamento della città, nel secolo scorso esigette la sua demolizione.

 Dai colli di Catanzaro si gode un panorama incantevole su tutta la zona : Tiriolo sembra assai vicina. La contrada è deliziosamente verde.

 Nella villa comunale della città, animata piacevolmente, un'abbondante vegetazione rappresenta una sorta di campionario della flora meridionale.

 Ho cercato inutilmente di sapere se fosse stata ritrovata la statua bronzea di fattura greca che Lenormant supponeva sepolta sotto l'uliveto di M Massara. Nessuno ha saputo darmene notizie.

 La fretta della visita  non mi ha consentito neppure di vedere , nella frazione Roccelletta del Vescovo di Squillace, la basilica del IV secolo ed il suo affascinante bassorilievo bizantino in marmo; tuttavia ho potuto visitare il museo: ancora uno dei poveri musei della Calabria, forse presentato meno negligentemente degli altri e piacevole da vedere.

 Ha solamente due sale, varie di materiali: dalle pietre levigate a qualche quadro moderno.

 Ma la su attrattiva consiste soprattutto in una meravigliosa  collezione di monete. Si sa che  le monete della città della Magna Grecia e della Sicilia sono le più belle del mondo.

Là, inoltre s'afferma quella parte superiore di cui testimoniano gli ex voto di Locri. I secoli IV e V C. rappresentano una delle più grandi epoche della storia dell'arte…

 Jules Destrèe

(da Un jour. Je voyageais en Calabre…1931)

traduzione di Romilda Curcio

 

 

 

Catanzaro

(…)il nucleo originale di Catanzaro si arrocca  a una decina di km. dal mare ionico "sopra la gola del monte" ( come è la probabile origine del suo nome, secondo l'Alessio) cioè sul culmine di uno sperone ventoso dai fianchi dirupati, che si profila a balcone, a una elevazione media di 330-350 m. sul mare, e che è stato intagliato ad opera di strettissime e fonde valli di erosione (corse da esigue fiumare: il Musòfalo a oriente e la fiumarella a ovest) nella zona dei sedimenti marnosi e dei conglomerati, che forma il lato orientale della regione istmide. I fianchi del rilievo verso i due fiumi sono, per il loro dirupo, pressoché impraticabili: ma quello meridionale ha un po’ minore inclinazione e scende sagomato da accenni di terrazzi naturali( i resti dq un gradino sono chiari intorno a 240 m. ) rivestiti da orti e giardini, verso la località la Sala, ove i due fiumi su nominati creano un brevissimo triangolo di confluenza a meno di 150 m. di altitudine. E quindi è sul fronte meridionale dello sperone che, dagli anni intorno al 1840, si inerpica a grandi risvolte per vari Km. la via carrozzabile che sale dal mare a Catanzaro per la dritta valletta del Fiumarella, coperta sul fondo da oliveti. A nord poi lo sperone si lega mediante un esile istmo ( ove è aperta la piazza chiamata localmente "fuori le porte") con i dorsi della estrema diramazione silana: ma per le asperità del rilievo, le aree spianate- pertinenti al medesimo terrazzo palcoscenico ove i bizantini costruirono il primo castrum di Catanzaro- sono qui più frantumate e di minore ampiezza.

Sul balcone, in verità un po’ ondulato, di originale insediamento, che misura da parte a parte non più di 500 m.(e in genere meno)ed è lungo un km.- solo le zone periferiche- cioè quelle intorno alla chiesa del Monte, del Carmine e di Monrtecorvino- mostrano la vecchia conigurazione medioevale ( che anche le rovine sismiche del 1638 e del 1783 sono giunte a eliminare ) a stradine frequentissime, brevi e segmentate se in pendio, sinuose se correnti a uniforme altitudine. Ma questo impianto è stato alquanto alterato dopo il 1870 nella parte mediana dello sperone , con l'apertura lungo il corso Mazzini che è stato, da quegli anni ad oggi, la principale via di Catanzaro e rimane  la più animata e signorile. La vi aè bordata da edifici in buona parte elevati fra il 870 e il 1890: si intercala a diverse non grandi piazze e nella sezione ove è più pianeggiante ( cioè fra Piazza Cavour e piazza Garibaldi ) coordina fortemente il cuore della città  con gli uffici di maggior uso e i migliori negozi. Invece ove la spianata naturale declina un poco verso i margini meridionali, il tono edilizio si fa più umile: ma al i fuori del corso Mazzini, l'area di vecchio impianto non ha vie degne di nota- se non qualcuna di profilo isoipsico- e solo minuscole piazze: queste e quelle con vari spunti suggestivi. Sui lati delle piazze si schierano le chiese principali, con portali rinascimentali molto fioriti, e le case di quelle che erano le principali famiglie locali fra  i tempi aragonesi e la fatale peste del 168, che spopolò gravemente Catanzaro

 

 

 

Catanzaro

Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro, e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciute piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali. La città è sita sovra un monte in mezzo della Calabria: dietro le spalle le van sorgendo altri monti sino alla gran giogaia della Sila, che di verno si vede coperta di neve, e sulla neve sorgono negreggianti pini : dinanzi le sta un vastissimo terreno ondulato di colline che sono sparse di giardini, di orti, di case, di vigne, di oliveti, di aranceti, e di pascoli ove biancheggiano armenti: e tutto quel terreno si curva in arco sul mare Ionio che tra i capi Rizzuto e Badolato  forma il Golfo di Squillace. Il mare è distante da la città sei miglia , ma ti pare di averlo sotto la mano, e ne odi il fragore : vi si discende per una strada che da lungo il torrente, e quando sei su la riva trovi un villaggio che chiamano la Marina , dove i signori hanno loro casini e la primavera vanno a villeggiare . ad un miglio da la Marina sbocca il fiume Corace, ed oltre il fiume si innalza un antico tempio rovinato, che si vuole edificato dai nel V e si chiama Roccella : ci sono le quattro mura su l quali si aggira sempre un nugolo di mulacchie. Più in là sul lido una grande pianura , che chiamano castra Hannibalis, e dicono che ivi fu l'ultimo alloggiamento di Annibale che li si imbarcò per Africa.

Quando da un luogo della città detto la Villa io guardai quella fioritissima veduta, volli trovare la fede di battesimo di Catanzaro, e dissi "Se la vostra cronaca narra che un potente bizantino a nome Flagizio venne nell'ottavo secolo e fondò o ampliò la città, egli dovette dare questo nome di Catantheros, Catantharos, che  vuol dire sul fiorito,  e glielo diede pel sito bellissimo e amenissimo su  cui forse ebbe una sua villa, e poi surse la città ". " Oh, che Flagizio e che greco voi ci contate. Una volta c'erano due fratelli briganti Cataro e Zaro, i quali dopo molti anni che scorsero  la campagna, infine si pentirono, e vennero qui che era luogo forte, e nessuno poteva toccarli: qui abitarono con la loro compagnia e le loro  famiglie , qui fabbricarono una chiesa e ci furono seppelliti; e cosi si formò la città che porta il nome di tutti e due". Ci ebbi una quistione lunga che non è decisa ancora: anzi ogni buon catanzarese tiene per i due briganti, e non so come non gli hanno messi tra i santi protettori della città. Essendo la città posta dove la terra d'Italia è più stretta e come strozzata tra il mare Ionio e il Tirreno, è battuta continuamente da venti che tolgono agli abitanti la pena di spazzarla, rendono l'aria pulita, ma variabile, e i cervelli mobili e facili a dare di volta. Le case non sono nè belle nè grandi, e si abita per lo più in baracche fatte di legno dentro e  poca fabbrica fuori per difendersi dai terremoti.

 

I terremoti

La Calabria è il paese dei terremoti: ogni città, ogni terricciuola ti presenta vestigie di rovine, e non passa anno che nella stagione di primavera o di autunno la terra non tremi. Era il colmo di una notte ed io dormivo in una stanza, presso la quale era un'altra famiglia: fui scosso da un rumore come di venti carri d'artiglieria che passassero insieme per via; odo alcune voci gridare: "San Vitaliano, aiutaci" sento il letto tremare, e m'accorgo del terremoto. Saltammo dal letto, prendemmo alcuni panni e fuori in una piazzetta dietro la casa dove si raccolse anche l'altra famiglia. La città fu piena di rumori, di voci, si aspettava la replica, ma non venne: vennero amici e conoscenti che avevano una certa familiarità col terremoto, e andavano facendo visite, e celiavano. La scossa fu leggera, e si passò l notte in veglia; ma quando le scosse sono gagliarde tutti tremano, un grido spaventevole esce dalla città, e tutte le voci chiamano il santo protettore e la Vergine. C'era stato il terremoto grande del 1832 , e tutti ne parlavano con terrore, e mi  mostravano le rovine in vari luoghi, e narravano fatti dolorosissimi. Ah, mi diceva uno, se non ci fossero i terremoti e i briganti, la Calabria sarebbe il primo paese del mondo.

 

Usanze e costumi

In Catanzaro trovai poche persone colte, parecchi parlatori che parevan saputi; tutti, specialmente i nobili, cortesi  e amabili: il popolo lieto, motteggiatore, vago di spassi e di feste, molti legisti e di valenti: in tutti quanti un po’ di rozzezza che non dispiace perché sotto v'è buon cuore. Le donne tranne pochissime, non sanno leggere, ma con gli occhi dicono tutto. Dai paeselli vicini ne vengono alcune d'una mirabile bellezza di forme, e mia moglie ne lodava specialmente una che era povera fanciulla di Marcellinara, e aveva occhi, volto, persona bellissima e perfetta. Ci son quattro confraternite, delle quali fanno parte tutti i cittadini, che gareggiano pazzamente in feste arredi luminarie, spendendo gran denari che andrebbero meglio adoperati in opere civili. Ma che volete? I nostri padri, vivendo muti e disgregati senza libertà politica, non avevano altro legame comune che la religione, però fondarono queste confraternite dove avevano una certa libertà, e voto, e magistrati, ed uguaglianza, e potere di legge più che di uomini, e associazione di mutuo soccorso; e ragionevolmente amavano queste istituzione onde avevano molti benefizi.

 

 

 

Catanzaro, nido di aquile e regina dei panorami.

 

Catanzaro è nata in periodo bizantino come luogo reso forte e sicuro dalle alture collinari discoste dall’infido mare, solcate ai lati da ampi letti sassosi di pigre fiumare. I suoi primi nuclei abitativi provenienti da Paleopoli (già Scolacium Minerva e Skilletion ) s’insediarono nel quartiere che verrà detto Grecia, da latini rinserrati nei quartieri di Piano Grande e Pianicello, da Amalfitani venuti al seguito dei Normanni che con i Ruffo eressero la città a contea, dai monti della Sila scesero Bruzi attratti da nuove espressioni di convivenza e opportunità di lavoro.

La sua collocazione centrale fra la Sila e le Serre ed i mari Tirreno e Jonio, nella parte più stretta della Penisola ( appunto l’ istimo di Catanzarfo ), contribuì  a renderla sede di organismi di governo amministrativo, giudiziario e militare quali la Regia Udienza, la gran Corte Criminale e Civile, ecc…tanto da essere designata ad assumere il ruolo ed il rango di capitale della Calabria Ultra.

La sua economia si valse delle risorse di un territorio agricolo fertile, di un florido artigianato incentrato sul tessile grazie alla filiera gelso-tessitura, coloritura e commercio della seta regolata da speciali Capitoli ( 1519 ). Gli scambi ed i traffici all’interno del Regno ma anche con l’estremo Nord e le grandi fiere richiesero l’installazione di banchi e l’insediamento di ebrei nel centro dell’agglomerato urbano.

Fedele agli Aragonesi che concessero nel 1473 la costituzione del parlamento e l’ordinamento civico scaturito dalle assemblee popolari, nel 1528 vittoriosamente resistette all’assedio dell’esercito francese inviato da re Francesco I° che dopo tre mesi di conflitto abbandonarono il campo. Con gravi perdite. Carlo V- di cui Catanzaro era stata riconosciuta città “ regia” – concesse ulteriori prerogative ed esenzioni come riconoscimento della sua lealtà. Come emblema del legame della Corona l’Imperatore concesse il privilegio d’incorporare l’Aquila reale nello stemma della città che vi appose su di un nastro di seta il motto “ Usque sanguinem effusione” a significare la fedeltà sino al sacrificio del sangue. Il gonfalone fu munito dai colori di casa d’Aragona, quattro pali neri su campo giallo.

Clero colto, magistrati integerrimi, ufficiali, grassi mercanti e baroni di derivazione rurale, avvocati e notai, diedero luogo ad una borghesia vivace, civile, intraprendente, doviziosa. Nacquero Accademie culturali, società per l’avanzamento dell’economia, confraternite religiose, circoli riformisti. Risalto ebbe lo Studio fondato dai  Gesuiti nel 1951 divenuto poi Liceo ad opera di re Gioacchino Murat ed anche scuole universitarie. La naturale intelligenza dei cittadini potè forgiarsi nel culto dei valori liberali, antiborbonici e filounitari.( Il napoletano Luigi Settembrini scrisse che a Catanzaro l’intelligenza scaturiva sin dalle scintille del selciato).

Ebbe eccellenza una generazione d’illuminato ceto dirigente:, già nell’Ottocento vennero istituiti un ricco Museo nel 1881 e la Villa pubblica progettata nel 1876 da un architetto parigino e realizzata cinque anni dopo con piante rare e pregiate, laghetti e passeggiate secondo gli stilemi romantici del tempo, un grazioso Teatro neoclassico, la Biblioteca Comunale ricca di un prezioso fondo librario calabrese, una società per l’avanzamento dell’economia, una rivista di studi economici e politici denominata “Il Pensiero contemporaneo”. Studiosi del giure, economisti, storici e letterati contrassegnarono la vita della città rendendola gentile ed accogliente largamente apprezzata da un folto numero di viaggiatori e scrittori stranieri.

Negli ultimi decenni è cresciuto uno stuolo di animosi imprenditori, si avverte l’avvio della presenza dell’Università ( nata nel 1984 ) ed il fervore del millennio connota l’auspicio dell’avvento di nuovi equilibri fra le componenti sociali e la speranza che la cultura non sia soltanto consumata ma prodotta e vissuta come stile di vita e di comportamento.

                           Cesare Mulè ( storico)

 

L’oratorio del S.S. Rosario

 

Per le Caste religiose più antiche, degna di menzione è la confraternita del S.S Rosario che lega la sua origine e fondazione al gran predicatore S. Domenico, e il suo riconoscimento ufficiale, da parte di Onorio III, al 1216.

I P.P. Domenicani, sparsi in ogni luogo perché apostoli di Dio, furono accolti a Catanzaro nel 1401 dal conte e padrone della città D. Nicola Ruffo. Inizialmente il loro convento fu il locale dell’Ospedale al quale nel 1472 fu dato il titolo di S.S. Annunziata. Il fondatore fi Frà Paolo di Mileto che già aveva fondato un convento a Taverna. I fratelli non avevano altro compito se non quello di assistere alle messe, alle prediche e di partecipare alla festa della S.S. Annunziata, celebrata dai P.P. Domenicani il 25 marzo. Per questa occasione, sempre nel 1401, il Conte Ruffo concesse loro il piano antistante la chiesa. Con Papa Gregorio XIII i Rosarianti non presero più parte a tale festività, in quanto ne ebbero una propria, detta del S.S. Rosario, da festeggiare la prima domenica d’ottobre, in ricordo della vittoria dei Cristiani sui Turchi avvenuta nel 1571. Intanto, i fratelli crebbero di numero. Nel 1587 i confratelli iniziarono a radunarsi in una vasta sala, situata all’interno del chiostro, concessa loro dai P.P. Domenicani. La contornarono di sedili e in fondo eressero l’altare della S.S. Vergine del Rosario. Crearono delle proprie regole, rifacendosi agli statuti dell’Arciconfraternita della Minerva di Roma. Nel 1592 scelsero gli Ufficiali che chiamarono Priore, Sotto Priore e Procuratore, vestirono il sacco e la mozzetta nera. Da questo momento in poi divennero un’effettiva ed autonoma Arciconfraternita.

Cresciute le esigenze, si sentì la necessità di disporre di un luogo più grande, adiacente al chiostro del convento; fu creata così la nuova sala e cappella. Il nuovo locale fu decorato d’oro zecchino, alle pareti furono dipinti i quindici misteri del S.S. Rosario e furono posti intorno eleganti sedili di legno di noce intarsiati a disegni in tre ordini, ciascuno in quarantotto posti e l’ultimo di essi, quello a pian terreno, riservato ai novizi. L’inaugurazione avvenne l’11 maggio 1621, il lunedì dopo la festa di Pentecoste.

Dopo diversi anni fu concessa all’Arciconfraternita un’altra sagrestia, ricavata da una casetta attigua al locale della congrega, all’interno della quale non potevano accedere le donne e gli estranei. L’Arciconfraternita era costituita da cittadini appartenenti a diverse classi sociali; fra questi ricordiamo i tessitori di seta che erano una congregazione a parte, con un’insegna propria e con una cappella dal titolo del sangue di Cristo, ma erano legati in tutto e per tutto ai fratelli del Rosario. Nelle feste essi partecipavano con uno speciale vessillo e con mazzetta rossa, che venne mantenuta nelle processioni anche quando i tessitori di seta, nel XVIII secolo, s’incorporarono definitivamente al Rosario. Consolidatasi ormai, l’Arciconfraternita comprò dei terreni su cui erigere nuovi locali della congrega. Nella città essa era così rispettata e stimata che i nobili cittadini facevano a gara nelle concessioni dei doni, tutti di pregio e di valore. Nel 1806 con l’arrivo dei francesi, una parte del convento dei Domenicani fu adibita ad ospedale. In tal modo, i fratelli dell’Arciconfraternita, non potendo più accedere alla congrega dal chiostro, di notte chiusero l’unica porta d’accesso e ne aprirono una nuova sulla via pubblica, attualmente esistente. Tale Arciconfraternita ha affiliato a sé quella di Gagliano, Taverna e Stalettì.

L’Arciconfraternita dipendeva come statuto da quella di Roma. Nel 1776, furono approvate le sue regole, estese su carta pecora, munite del reale Sigillo e conservate nell’archivio del Sodalizio. Su di esse sono nominati quali e quanti fossero i rappresentanti superiori e nuovi dell’Arciconfraternita: Priore, Sotto Priore, Gonfaloniere, Procuratore e Segretario, Confessore, Tesoriere, Sagrestano Maggiore, Maestro di Cerimonie, Maestro di Novizi, Ministro dei Monti e sagrestano Minore. La prima domenica di gennaio avviene l’elezione di tutti gli Ufficiali.

Le feste celebrate dai Rosarianti sono: le Quarantore, i venerdì di Quaresima e il S.S. Ecce Homo, il Giovedì Santo, la Pasqua, la sacra Quindicina di Maggio, il Corpus Domini e i Quindici sabati. 

 



Proloco Catanzaro